Quando lo scarto diventa arte
Quando lo scarto diventa arte. E’ quello che accade alla Fondazione Stella Maris dove, nell’Unità Operativa 2 Urgenza Psichiatrica, i ragazzi stanno facendo un’esperienza davvero particolare. “Ricicliamo tutti gli scarti che troviamo – spiegano gli educatori – i legni portati dal mare, gli avanzi di lavorazione di falegnameria, i legni trovati per caso nel nostro parco o vicino casa, quelli offerti dai giardinieri che curano gli alberi del parco dell’ospedale – per ridare loro valore e senso in altre forme”. Il risultato sono originali composizioni artistiche, fantasiose e colorate, che raffigurano pesci terrestri, fenicotteri rosa, ricci, coccinelle, tartarughe, granchi e animali fantastici, che animano gli alberi del giardino dell’Istituto.
Un’esperienza unica che coinvolge gli operatori ed insieme a loro, in prima persona, gli adolescenti ricoverati nel Servizio che ha come Direttore il dr. Gabriele Masi, Responsabile la dr.ssa Maria Mucci e come team le neuropsichiatre infantili dr.sse M. Giulia D’Acunto e Francesca Liboni, la psicologa dr.ssa Cinzia Fratoni, l’assistente sociale Veronica Selmi, gli educatori professionali Gianluca Giunchiglia, Paolo Fornaini, Luisa D’argenio ed Irene Vaghetti, l’infermiera professionale Silvia Clemente, gli OSS Simone Marianelli, Filippo Dalcó e Matteo Nacci, oltre a due medici specializzandi in Neuropsichiatria Infantile che di volta in volta ruotano nel Servizio per l’esperienza clinica formativa, al momento dr.ssa Caterina Fedi e dr. Andrea Salvati.
A far comprendere come gli scarti del mare possano essere ripensati per dare vita alla creatività è stato l’artista Pietro Mochi che aveva realizzato una scultura con i legni lasciati dal mare. “Dopo quei primi pesci costruiti con lui – spiegano gli educatori – successivamente abbiamo inventato nuovi oggetti in modo autonomo e secondo la creatività del gruppo. La valorizzazione dei legni va in parallelo con il processo di cura promosso per i nostri ragazzi: dare luce e attenzione laddove c’è opacità e svalutazione, per validare ogni risorsa residua. L’arte ha a che fare con quella verità che tocca il soggetto e lo modifica. Così, i nostri ragazzi, dopo aver costruito questi oggetti fantastici potranno partecipare ad un’esperienza di cambiamento e sentirsi diversi, non più gli stessi di prima, sicuramente più “veri” e “ricchi”. Primo: perché avranno dato del loro meglio. Secondo: perché avranno partecipato alla costruzione della autenticità personale e sociale”.
Ma come nascono queste manufatti artistici? “Dietro queste creazioni c’è un lavoro meticoloso, – proseguono gli educatori – che viene svolto sempre in gruppo. Gli operatori propongono un soggetto, i ragazzi accettano o meno, ed eventualmente rilanciano con un soggetto diverso. Quindi viene condivisa un’idea da realizzare: vengono posizionati sul tavolo i materiali legnosi dalle più disparate forme e dimensioni, si cercano le combinazioni per creare la forma nella sua interezza; un po’ come un puzzle a raggiera. Si procede per prove ed errori, “a carponi”. Via via si intravede l’idea così come ognuno se la immagina nella mente. A volte ne esce una creazione anche migliore di quella pensata. Quando la forma intera ci convince, passiamo a fissarla con chiodi, viti e bulloni. Vengono applicati vetri e rondelle di ferro a rifinire e meglio definire i soggetti marini. Ultima fase è quella di colorare l’opera, ma mai completamente, in quanto il legno principale viene lasciato intatto, per evidenziarne la naturalità, la costituzione di base. La colorazione è un atto importante, non meno della costruzione, poiché viene data ad ogni tonalità un’importanza di risonanza emozionale. Infatti, si cercherà un’armonia cromatica che meglio si addice a quel soggetto”.
Cosa vi ha spinti a queste stupende creazioni? “In un parco come il nostro, dove le persone si trovano a trascorrere l’attesa tra una visita e l’altra, ovvero un’esperienza di dolore, di sofferenza, anche di smarrimento, pensiamo possa dare sollievo posare gli occhi sulla vivacità espressa dalle opere affisse sugli alberi del parco, come simbolo della vita che va avanti comunque, mano nella mano con la cultura e l’arte, quali antidoti fondamentali contro le avversità, a favore della speranza e della positività”. E come scrivono nei messaggi disseminati nel Parco: “Torneranno giorni lieti”.