Venerdì 10 giugno 2022 alle ore 17:30, presso Maison laviniaturra, il salotto della moda bolognese fondato dalla fashion designer Lavinia Turra, inaugura ATLAS X di Marina Gasparini, nell’ambito di un ciclo di mostre dedicato ad artiste donne che proseguirà fino al 2023 con Alessandra Calò Valentina D’Accardi e Malena Mazza. L’obiettivo di tali mostre-evento è quello di creare un luogo di incontro dove poter far confluire mondi diversi ma sinestetici: l’arte nelle sue diverse forme e la moda come espressione di alto artigianato, una parola che la stilista ama per descrivere il lavoro di chi utilizza le mani per dar vita a qualcosa di unico, come un abito; perché il fashion design mai deve essere un mondo chiuso, ma sempre un mondo di continue sollecitazioni, influenze e fascinazioni. La stilista, che ha vestito nomi importanti dello spettacolo, quali ad esempio Isabella Ferrari e Jodie Foster, oltre a dar vita alle sue note collezioni prêt-à-couture, crea spesso allestimenti concettuali d’immagine che ne riflettono l’ispirazione.

Per questa occasione, l’arte e la moda si fondono a Maison laviniaturra attraverso il progetto di Marina Gasparini, ATLAS X, un’installazione immersiva fatta di evocazioni scientifiche, ricordi e un tentativo di salvaguardia del mondo naturale, da cui ogni giorno sempre più ci allontaniamo. Un filo unisce inevitabilmente le due donne, in maniera reale e figurata: è per entrambe il principale strumento di lavoro, ma è anche la continua ricerca e attenzione verso l’elemento naturale, il dettaglio e la sostenibilità della materia prima. Risultato vincitore del premio speciale “Sustainability and Ars” organizzato da Laguna Prize sostenuto dall’Università Ca’ Foscari e dall’azienda NaturaSi, ATLAS X  si configura come una poetica installazione, un erbario sospeso di riproduzioni in fibra tessile di 46 piante tintorie, restituite nel loro aspetto esemplare come appaiono miniate nei codici erbari del medioevo e del rinascimento, oppure cavate dal cinquecentesco Hortus Siccus di Ulisse Aldrovandi”, come afferma Marco Pierini, Direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, nel catalogo della mostra personale “Il denaro è un bene comune” ai Musei Civici di Modena.

Le singole opere, raggruppate in base ai tre colori primari, sono realizzate seguendo i contorni del disegno scientifico della pianta con un filo tinto del pigmento che in passato si estraeva dalle sue radici, foglie o frutti. Anche i temi dell’installazione sono tre, legati ancora una volta alla casa di moda che ospita la mostra. Il primo prende spunto dalla stretta relazione tra arte tessile ed economia; il secondo è quello della natura, intesa come elemento iconografico e simbolico, centrale nella storia della cultura tessile. Il terzo soggetto dell’installazione è il filo, tecnologia e anche metafora della relazione tra individui e istituzioni e metonimia della filiera economica e produttiva. L’intreccio di queste tre tematiche percorre tutto il progetto nel suo insieme.

Una suggestiva unione tra il filo, che disegna nell’aria questi elementi naturali e gli spazi suggestivi dell’atelier, che si trasformano nella sua pagina, bidimensionale e tridimensionale allo stesso tempo, offrendo una libertà progettuale e interpretativa che innesca una riflessione sulla caducità del mondo naturale: alcune piante sono infatti a rischio estinzione, altre ancora sono state chimicamente sostituite. “L’installazione di Marina Gasparini pone il visitatore di fronte a un processo estremamente complesso che parte dall’agricoltura, attraversa tutte le fasi della lavorazione della materia, poi la creazione artistica, il commercio, infine la salvaguardia, la conoscenza, l’educazione” prosegue Pierini.  “L’ idea di un disegno tracciato nell’ aria, come una tela di ragno sospesa tra duerami o come la scia di un aereo, di un ricamo sfuggito alla tela o di un tatuaggio senza corpo, sta a monte di una lunga ricerca di Marina Gasparini. […] Riuscire a inamidare un disegno per farlo divenire un’esile ma tenace scultura, equivale a scommettere sull’eliminazione di ogni residuale dipendenza dal proprio segno da un supporto, una vocazione di leggerezza e insieme una affermazione di fulgida resistenza” – afferma Massimo Pulini, Docente all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

Share Button