Con LA FORTUNA DELLA FRAGILITÀ la Galleria Mattia De Luca riapre le porte della sede romana per dare vita a Mattia De Luca projects, un percorso autonomo e sperimentale di ricognizione sul panorama artistico contemporaneo che si affianca all’ormai consolidato impegno sui grandi nomi del Novecento italiano e internazionale.

Con Mattia De Luca projects, la galleria mette a disposizione i suoi spazi ad artisti invitati a esporre la propria ricerca in modo completamente libero: un progetto off che nasce dal desiderio di esplorare una produzione che, agendo sul mondo di oggi, può aiutarci a comprenderlo meglio. Un percorso che allarga l’impegno di Galleria Mattia De Luca in ambiti svincolati da dinamiche strettamente commerciali, mettendo a disposizione risorse e know how per iniziative culturali legate a progetti pubblici, alla realizzazione di eventi culturali e al sostegno alla ricerca curatoriale.

LA FORTUNA DELLA FRAGILITÀ, primo atto di questo progetto, nasce dal dialogo tra Calderón Andrade e Spazzini Villa, artisti che si interrogano su temi che spaziano dalla transitorietà, all’impossibilità di trovare una lettura univoca della realtà, dal fascino per il mutamento alla creatività della Natura.

Le opere di Marcela Calderón Andrade nascono dall’osservazione della complessità delle relazioni in natura, e sono spesso composte da elementi organici con cui crea lavori scultorei di insostenibile leggerezza.

Per questa esposizione l’artista colombiana ha scelto di esporre sette opere che fanno parte del suo progetto Enchura: Hongo guarda alla configurazione di un minuscolo fungo che si sviluppa nella buccia di alcuni frutti durante il processo di degradazione, riproducendone le fragilissime connessioni come un ingrandimentosu un microcosmo che si rivela in scala architettonica. Círculo-Infinito, Churo-Espiral e Vibración-Onda, lavori parte della serie Vestigio, sono realizzati con le membrane interne dei gusci d’uovo, che dopo la rottura sono in grado di ricomporsi grazie alla memoria che la materia riesce a conservare, attuando un processo di distruzione e ricomposizione. Completa la mostra Red: un intreccio di sottili fili di carta, esercizio con cui l’artista ci invita – come nel resto dei suoi lavori – a ricordare, riparare e curare la rete di fragilità a livello emotivo, fisico, biologico, politico.

Tommaso Spazzini Villa espone alcune opere della serie Ombre: nate come scatole d’ombra con lo stesso funzionamento di un piccolo diorama teatrale e come omaggio ai Teatrini di Lucio Fontana, queste operetrovano nello spazio espositivo una nuova declinazione estesa e site-specific.

L’ombra e il rapporto col suo referente diventano il fulcro dell’opera, attraverso la creazione di immagini evanescenti e silhouettes misteriose che nascono da foglie secche: una riflessione sull’ambiguità della Natura e le possibilità metafisiche dell’illusione, un’ideale prosecuzione del mito della caverna platonica.

Accanto a questi lavori l’artista propone un video legato all’opera Autoritratti, un progetto ancora inedito di arte partecipativa svolto nelle carceri italiane nel 2018, in cui ha coinvolto quattrocento detenuti chiedendo loro di scegliere alcune parole da singole pagine dell’Odissea, così da ricomporre una frase all’interno di ciascun brano. Un’opera ricca di rimandi e significati che trovano nuove attualizzazioni, in bilico fra il tempo non misurabile del poema omerico e quello contingente e raccolto della sospensione umana. Alla radice di opere alla sola apparenza dissimili, emerge un motivo di ricerca coerente e unitario: trovare nelle pieghe del quotidiano il gesto minimo che favorisca l’incontro con un elemento attraverso il quale svelare la delicata complessità umana. Una ricerca profondamente umanistica che, coerente con il perimetro individuato per l’esposizione, resta ancorata alla realtà a cui si riferisce.

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