Con Protext! la grande mostra che attraverso le opere di nove artisti internazionali racconta il tessuto come prodotto universale, artistico e comunicativo, Litosfera un dialogo tra le opere di Giorgio Andreotta Calò e di Elena Mazzi e Sara Tirelli, e l’allestimento di Raid l’opera di Marcello
Maloberti recentemente acquisita dal museo, il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, diretto da Cristiana Perrella, continua a offrire al suo pubblico un programma culturale multiforme che affianca alla qualità dei progetti una crescente attenzione verso il territorio e le sue peculiarità.
Le nuove mostre sono anche l’occasione per annunciare altre importanti novità come l’estensione dell’orario di apertura. A partire da mercoledì 28 ottobre infatti, il museo sarà aperto da mercoledì a domenica, e nel weekend resterà aperto un’ora in più: sabato e domenica infatti aprirà alle ore 11.00.
Particolare attenzione viene data alla collezione permanente, che non solo è protagonista delle nuove esposizioni Litosfera e Raid – con un focus sulle opere da poco acquisite di Giorgio Andreotta Calò, in collezione dal 2019, e Marcello Maloberti, dal 2020 – ma che sarà visitabile con ingresso libero per tutti.
“Il ruolo del nostro museo, oggi, è sempre più quello di collettore di energie per il territorio e di spazio sociale sicuro per la comunità: solo rafforzando il legame del Pecci con Prato, valorizzandone le assonanze e le corrispondenze e stringendo ulteriormente i legami esistenti o creandone di nuovi possiamo garantire al museo la sua centralità – sostiene la Direttrice del Pecci, Cristiana Perrella –. In questi tempi difficili il Centro Pecci vuole continuare a essere la casa di chi ama l’arte e la cultura: un luogo grande e sicuro, accogliente e inclusivo, capace di parlare a tutti. La nostra missione è di continuare a crescere con il nostro territorio, per tornare ad aprirci, non appena possibile, al mondo intero. E per farlo ora vogliamo dare un segnale significativo di accoglienza e allo stesso tempo di responsabilità.”

Ci proteggono dal freddo o dal caldo, simboleggiano tradizioni, rivelano lo stato sociale, sono prodotti secondo processi tradizionali, i diktat del fast fashion o le logiche del riciclo, arredano le nostre case: i tessuti riguardano democraticamente tutti, ancora oggi.
Con la mostra Protext! Quando il tessuto si fa manifesto, a cura di Camilla Mozzato e Marta Papini, dal 24 ottobre 2020 al 14 febbraio 2021 il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato ne esplora il ruolo non solo nei dibattiti critici su autorialità, lavoro, identità, produzione e cambiamento ambientale, ma anche come medium per eccellenza nella rappresentazione del dissenso. Striscioni, stendardi, t-shirt, arazzi artigianali, quilting: sono strumenti che hanno dato voce nel mondo a istanze di protesta spontanee, e Protext! indaga come la più recente generazione di artisti prenda in considerazione l’uso del tessuto e le sue diverse declinazioni formali come pratica artistica trasgressiva.
Seguiamo un filo logico, camminiamo sul filo del rasoio, parliamo con un filo di voce, abbiamo ancora un filo di speranza, ci basta un filo di luce, ma perdiamo il filo del discorso: il linguaggio che deriva dalla pratica tessile, è profondamente legato alla filosofia, la storia, la letteratura e quindi all’essere umano.
Nel corso del XX secolo, moltissimi artisti si sono avvicinati all’uso del tessile, spinti dalla volontà di sperimentare, ma anche di recuperare materiali e tecniche tradizionali. Negli anni Settanta l’associazione con il femminile, il domestico e l’artigianale sembra ridimensionarne il valore artistico, ma invece stimola la sperimentazione di artiste femministe che fanno del tessile un manifesto delle politiche di emancipazione.
Attraverso le opere di Pia Camil, Otobong Nkanga, Tschabalala Self, Marinella Senatore, Serapis Maritime Corporation, Vladislav Shapovalov, Güneş Terkol la mostra Protext! dà voce a una pratica artistica che utilizza il tessuto come strumento capace di incanalare ed esprimere le istanze della
protesta, dell’identità, dell’appartenenza.
Il percorso di mostra alterna installazioni, sculture, stendardi, arazzi, disegni, ricami e si apre con l’ambiente site-specific realizzato dal collettivo greco Serapis Maritime Corporation composto da un murales di grandi dimensioni dipinto su una tenda, che sborda anche sulla parete, e una serie di grandi cuscini realizzati con materiali di riciclo appoggiati a terra. Le immagini utilizzate, riprodotte con un linguaggio tra arte, moda e design, provengono dall’archivio Serapis e dall’archivio Manteco, e rimandano all’uomo e la sua relazione fisica con il lavoro.
Si prosegue con Bara, Bara, Bara e Vicky’s Blue Jeans Hammock, sculture tessili realizzate da Pia Camil con t-shirt e jeans di seconda mano: indumenti prodotti in America Latina per gli Stati Uniti, che tornano ai luoghi d’origine seguendo le rotte inique delle migrazioni e del commercio globale. L’artista ricerca nei mercatini del suo paese i simboli più iconici del nostro tempo: vecchi slogan politici, pubblicità, manifesti delle più recenti proteste di piazza. Ne deriva un patchwork di messaggi, frutto della globalizzazione e manifesto della sua propaganda, un’istantanea della coscienza collettiva contemporanea.
Otobong Nkanga presenta gli arazzi The Leftlovers, Infinite Yeld, In Pursuit of Bling e Steel to Rust – Meltdown insieme all’omonima installazione, in un allestimento progettato con lei per la mostra. La ricerca dell’artista esplora i cambiamenti sociali e topografici evidenziando l’impatto storico e la memoria collettiva della relazione tra Uomo e Natura. Nei suoi lavori tutto è in procinto di essere analizzato: stratigrafie terrestri, piante sezionate, uomini in versione posthuman.
L’opera di Vladislav Shapovalov, Flags, nasce da una ricerca dell’artista al
Centro di Documentazione della Camera del Lavoro di Biella, città con una ricca storia industriale legata alla manifattura della lana, per molti versi simile a quella pratese. All’interno di una collezione di bandiere usate alle manifestazioni dei lavoratori delle fabbriche tessili dalla metà dell’Ottocento a oggi, l’artista ne trova due particolarmente interessanti, composte da tanti piccoli frammenti di tessuto ricamati con nomi femminili e cuciti insieme: i nomi delle lavoratrici. L’opera di Shapovalov offre
una rara testimonianza di un gruppo di operaie presentate come individui attivi, e fotografa la parabola politica del nostro paese, dal fascismo al movimento operaio degli anni Sessanta/Settanta,
con le donne come protagoniste.
Nelle sue opere Güneş Terkol prende ispirazione dal contesto in cui si trova, raccogliendo materiali e storie che intreccia nei suoi arazzi, video, schizzi e composizioni musicali. Protagoniste delle sue storie sono in genere donne che si adattano o rifiutano di adattarsi alle trasformazioni sociali e culturali della Turchia contemporanea. L’atto di cucire diventa un atto di resistenza che racconta voci altrimenti inascoltate. In mostra troviamo alcuni dei suoi ricami su garza in un’installazione leggera e fluttuante, insieme a Dreams on the River e Desire Passed by Land, bandiere realizzate nel corso di un
laboratorio partecipativo. In occasione della mostra, l’artista produrrà una nuova bandiera insieme ad un gruppo di donne vicine al Centro Antiviolenza La Nara.
La mostra continua con le opere di Marinella Senatore: i coloratissimi stendardi ricamati a mano dalla serie Forme di protesta: memoria e celebrazione e 50 disegni della serie It’s Time to Go Back to Street in parte prodotti per il Centro Pecci. L’artista esplora le numerose sfaccettature sul tema della protesta in diversi contesti geografici, e le modalità e i sistemi di
aggregazione comunitaria: simboli come il gonfalone delle cerimonie del Sud Italia, i carnevali politici sudamericani, gli striscioni dipinti a mano dei lavoratori anglosassoni, le arti performative e musicali come mezzo per esprimere istanze di protesta.
Tschabalala Self costruisce rappresentazioni volutamente esagerate legate
all’immaginario dei corpi femminili neri con una combinazione di materiali coloratissimi cuciti, stampati e dipinti che rimandano a tradizioni artistiche artigianali. Artista tra le più celebri delle ultime generazioni, cresciuta guardando la madre cucire, presenta in mostra alcuni lavori iconici: le stoffe recuperate nei negozi di Harlem, la tridimensionalità delle sue opere, il voyeurismo suscitato dal corpo femminile nero, creano nello spettatore un vero disorientamento, ma aprono la strada a nuove modalità di relazione con l’altro.
Conclude il percorso espositivo una sala dedicata a workshop, residenze ed eventi che alimenteranno l’indagine sull’uso del tessile nelle manifestazioni di dissenso, nel corso della mostra.
Il primo intervento ospitato è quello del duo parigino About A Worker, che offre ai lavoratori della moda la possibilità di rivelare la propria visione del settore attraverso il design di una collezione. Il duo ha operato in contesti in cui la moda ha profondi impatti sociali, economici e ambientali, contribuendo alla condivisione della conoscenza tra laboratori e fabbriche. A seguito di una residenza realizzata in collaborazione con Lottozero textile laboratories, About A Worker presenterà al Centro Pecci una collezione speciale realizzata in museo durante un laboratorio partecipativo, con il supporto di Manteco e la collaborazione di Istituto Marangoni Firenze; a partire dal 2 novembre, alcuni dei lavori più iconici di About A Worker saranno visibili in una mostra retrospettiva nella Kunsthalle di Lottozero. Seguirà il workshop di Canedicoda, realizzato in collaborazione con
Dynamo Camp: attraversando tende ghiacciate o tropicali separè, visitando plastici di raso o lane montuose i partecipanti si immergeranno nella costruzione di un mondo morbido, avvolgente, cangiante e plasmabile.
La mostra è accompagnata per tutta la sua durata da un ricco public program con workshop, talk e residenze realizzate in collaborazione con gli artisti e realtà locali.
Protext! Quando il tessuto si fa manifesto è accompagnata da una pubblicazione di Nero Editions in due volumi: il catalogo della mostra con il testo critico delle curatrici Camilla Mozzato e Marta Papini, le interviste agli artisti, biografie e fotografie delle opere, e un secondo volume, un vero e proprio libro d’artista firmato da Marinella Senatore, introdotto da Cristiana Perrella, Direttrice del Centro Pecci.

Un video e una grande installazione ambientale compongono la mostra LITOSFERA, dal 24 ottobre 2020 al 7 febbraio 2021 al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato: sono A Fragmented World di Elena Mazzi e Sara Tirelli, e Produttivo di Giorgio Andreotta Calò. La mostra – curata da Cristiana Perrella, Direttrice del Centro Pecci – si inserisce in una linea di ricerca che rilegge e interroga le opere della collezione permanente grazie al dialogo e al confronto con quelle provenienti da altre raccolte; nella stessa direzione si muove anche l’esposizione di Raid, opera di Marcello Maloberti recentemente acquisita dal museo, testimonianza della performance omonima realizzata dall’artista al Centro Pecci nel 2018.
A Fragmented World e Produttivo nascono entrambe dalla suggestione di un viaggio al centro della Terra, dal desiderio di rappresentare forze e materie che nel corso di ere geologiche hanno dato forma al nostro pianeta.
Giorgio Andreotta Calò ha acquisito, riordinato e catalogato circa 2000 metri lineari di carotaggi dell’area del Sulcis Iglesiente, parte dell’archivio di sondaggi della Carbosulcis. L’orizzonte stratigrafico corrispondente al livello produttivo, compreso tra i -350 e -450 metri sotto il livello del mare, è
stato quindi ricomposto a pavimento: i vari strati di roccia visibili in questi carotaggi portano alla luce millenni di storia naturale, la raccontano nella successione di materiali quali siltiti, arenarie, micro-conglomerati, strati
carboniosi, calcare beige, lumachelle. Fragilissimi eppure forti nella loro presenza evocativa, i lunghi cilindri di Produttivo vanno a comporre un paesaggio che segue la successione stratigrafica, portandoci indietro nel
tempo. L’opera – presentata nel 2019 alla Fondazione Pirelli Hangar Bicocca di Milano, che l’ha coprodotta, come parte della mostra personale Città di Milano – è entrata nella collezione del Centro Pecci nel 2019 grazie a una donazione dell’artista, che l’ha voluta suddividere tra i musei membri di AMACI – Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani. In questa mostra per la prima volta ne viene ricomposta una parte rilevante che comprende, oltre a quella del Pecci, anche le sezioni in collezione al
MAXXI, GAMeC, MAMbo, FMAV, e quelle provenienti dall’archivio dell’artista.
Del tempo lentissimo della Terra, solo apparentemente immobile e immutabile, e degli eventi catastrofici che ne costituiscono un elemento di rottura e accelerazione, ci parla anche A Fragmented World, il video di Elena Mazzi e Sara Tirelli. Ispirata alla Teoria delle fratture del fisico Bruno Giorgini l’opera rimanda a una condizione di caos, imprevedibilità e trasformazione, utilizzando immagini dell’Etna, in parte preesistenti e realizzate a scopo scientifico e in parte girate ex-novo dalle autrici, con suoni e campionature in presa diretta del musicista Giuseppe Cordaro.
Realizzata il 13 ottobre 2018 al Centro Pecci in occasione della Quattordicesima Giornata del Contemporaneo AMACI, la performance Raid riunisce alcuni temi ricorrenti del lavoro di Marcello Maloberti, come la fascinazione per i libri, la relazione con le icone della storia dell’arte, il connubio tra dimensione museale e azioni effimere, l’idea di “corpo collettivo” composto da persone diverse accomunate da uno stesso gesto apparentemente insensato. La performance, casuale e improvvisa, mette in relazione l’arte del passato con opere simbolo del museo, lasciando dietro di sé presenze evocative come le monografie dedicate ai Maestri della storia dell’arte, che per giorni sono rimaste sul pavimento delle sale, squinternate dall’azione dei performer.

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