ALLUVIUM di Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh, Hesam Rahmanian
OGR Torino torna a Venezia, in occasione della 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, presentando per la prima volta in laguna il trio di artisti iraniani Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian con un nuovo progetto site-responsive, a cura di Samuele Piazza: ALLUVIUM.
Dal 23 aprile al 27 novembre 2022 negli spazi del Complesso dell’Ospedaletto, il progetto espositivo realizzato e prodotto da OGR Torino raccoglie alcune nuove produzioni, parte di un corpus di opere al quale gli artisti hanno lavorato nel corso degli ultimi due anni, mostrato per la prima volta in questa configurazione.
Dopo l’assegnazione del primo OGR Award ad Artisstima 2017 sostenuto da Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT, e la mostra Forgive me distant wars for bringing flowers home organizzata nel 2018 per presentare al pubblico la pratica artistica di Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian, ALLUVIUM segna una nuova tappa nella collaborazione tra gli artisti di base a Dubai e OGR Torino.
“Presentare il lavoro degli artisti Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian a Venezia non solo ha diverse risonanze con il contesto circostante ma sottolinea anche un naturale collegamento tra la città e la mission di OGR Torino”, dichiara Massimo Lapucci, CEO di OGR Torino e Segretario Generale di Fondazione CRT. “Venezia, infatti, per l’unicità della sua configurazione richiama da sempre la pratica dell’arte e del genio umano: sviluppata su più livelli a partire dalle palafitte che hanno reso edificabili le isole della laguna, è cresciuta su se stessa, in un palinsesto di restauri e costruzioni, nuove estetiche e contributi di diversi popoli che hanno portato a una stratificazione fisica della città e a una sedimentazione culturale continua. Processi molto vicini anche a OGR Torino, istituzione che dal 2017 a oggi – grazie alla visione disegnata e realizzata da Fondazione CRT – ha fatto della conservazione e del rinnovamento il principale punto di partenza per la costruzione di una nuova storia all’insegna dell’arte, della cultura contemporanea, della ricerca e dell’innovazione.”
Il titolo ALLUVIUM rimanda all’argilla, alla ghiaia, al limo depositati dall’acqua corrente e si presta a varie letture. Richiama la materialità dei dipinti presentati in mostra e del loro supporto fisico in terracotta e metaforicamente i resti di un flusso più astratto: i detriti lasciati dal flusso di notizie, immagini culturali e storia che gli artisti setacciano e scansionano e da cui pescano materiali sedimentati, raccolti per guadagnare nuova vita, in un atto di resistenza e creazione di una contro narrazione.
ALLUVIUM è composta da una serie di strutture che gli artisti hanno realizzato in collaborazione con un fabbro di base a Dubai, Mohammed Rahis Mollah. Queste sculture in ferro reggono una serie di piatti in terracotta, prodotti da artigiani locali, secondo la tradizione mediorientale. I piatti accolgono i dipinti degli artisti creando composizioni e costellazioni in delicato equilibrio.
La struttura sospesa e la disposizione spaziale dei piatti si basa su una coreografia condivisa dagli artisti, interpretata e ricreata dal fabbro impiegando la sua conoscenza delle proprietà fisiche del metallo. Ogni struttura ha una coerenza propria, ma entra in relazione con le altre opere, funzionando come vera e propria traduzione, e al tempo stesso, partitura per lo sviluppo di nuove gestualità e performance.
I dipinti e i collage sui piatti sono frutto di una riscrittura delle immagini provenienti dalle news: al flusso di immagini a cui siamo esposti, e che va a comporre una narrazione ufficiale, si contrappone una riscrittura che traccia una registrazione dei nostri tempi, creando un nuovo immaginario alternativo a queste rappresentazioni; sovrapponendosi alle immagini per modificarle, replicandole e ridisegnandole secondo nuovi assi geometrici come nelle ceramiche islamiche, astraendole con fondi piatti come nelle miniature persiane, tracciano un ritratto inedito del presente.
I lavori di Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian nascono da un costante processo di rielaborazione, di negoziazione. In ogni mostra assumono un temporaneo equilibrio, per poi essere potenzialmente rielaborate e modificate, con nuove formalizzazioni, graduali e costanti. I tre artisti associano il loro modo di lavorare a quello delle termiti, che sviluppano le loro tane in una crescita organica e contestuale, piuttosto che seguendo un piano ideale prestabilito dal principio. Vasari, nella sua contrapposizione tra disegno e colorito, descriveva i pittori veneziani rinascimentali in contrapposizione ai maestri fiorentini: a differenza di questi ultimi, i pittori della laguna non partivano da un ideale teorico ex nihilo riportato sulla tela, ma si muovevano in un confronto con la realtà da rappresentare giustapponendo pennellate di colore direttamente sulla tela. Questo approccio compositivo che nasce in diretto confronto con la realtà è un interessante collegamento con la pratica di Ramin, Rokni e Hesam. Un ulteriore legame tra il lavoro degli artisti e il contesto veneziano è connaturato nella storia della città, ponte verso il Medioriente, aperto alle influenze estetiche e culturali dei modelli islamici, che i veneziani hanno fatto propri fin dal Medioevo, come sottolineato da Ruskin in “Le Pietre di Venezia”.
La casa che i tre condividono con i loro collaboratori è uno spettro di spazi pubblici e privati ed è il perfetto esempio di come la loro pratica si sviluppi in un continuum, in cui i luoghi di vita e lavoro sono utilizzati per testare continuamente nuove idee, in relazione tra loro e con il mondo esterno: i campi di negoziazione di interazione, come loro definiscono le loro creazioni scultoree, seguono processi organici di crescita, interazione, rigenerazione e cross pollinazione.
La ricerca si muove a partire da oggetti accumulati per creare un vero e proprio paesaggio, mentale e fisico: nel flusso di immagini culturali e informazioni, gli artisti si comportano come dei raccoglitori che creano inedite possibili costellazioni sommando oggetti provenienti da vari contesti a immagini, libri, film e opere d’arte, riarrangiati in un ecosistema dal quale emergono nuove relazioni e narrazioni.
“Le statue accadono, non sono create. Gli artisti considerano questi progetti come paesaggi, invece di inscriverli nella tradizione occidentale dell’installazione o dell’opera d’arte totale. Vita e arte si dissolvono” come scrive su di loro Sarina Basta in un recente testo.