La mostra “Dove la luce” è la storia di una straordinaria affinità elettiva, quella che unì due grandi maestri dell’arte italiana del Novecento: Giacomo Balla e Piero Dorazio. Come suggerito dal titolo, ispirato ad una nota poesia di Giuseppe Ungaretti, il tema del confronto è la luce, quintessenza della vita, ma anche sfida perenne per gli artisti che con essa, da sempre, hanno dovuto misurare le proprie capacità espressive. È un racconto visivo, nato da un’idea di Danna Battaglia Olgiati e affidato a 47 capolavori creati attorno a due date: il 1912, anno in cui nascono le Compenetrazioni iridescenti di Balla e il 1960 per le ben note Trame di Dorazio. “Quasi cinquant’anni passano tra le une e le altre, eppure ciò che seduce e ancora ci interroga di quel fenomeno luminoso, di cui queste opere sono interpreti e tributi, è il mistero che al di là di ogni verità scientifica sentiamo in tralice calamitare il nostro sguardo dentro le superfici” spiega Gabriella Belli, curatrice della mostra.

Le Compenetrazioni iridescenti rappresentano uno dei capitoli più interessanti dell’esperienza artistica di Balla, proprio per quel loro presentarsi come precocissime sperimentazioni astratto-geometriche. Le opere nascono nel volgere di pochi mesi durante un soggiorno dell’artista a Düsseldorf, ospite nella villa della famiglia Löwenstein. Invitato a decorare lo studio della bella casa affacciata sul Reno, Balla dedica parte del suo tempo a sperimentare, quasi in segreto, una nuova idea di pittura, che nasce certamente dall’osservazione della natura e dei fenomeni luministici ma che trova di fatto svolgimento in una pittura di inediti reticoli a pattern triangolari, che formano sequenze autonome, articolate in composizioni astratto-geometriche davvero anticipatrici per l’epoca in cui Balla le dipinge. 

Su fogli di un semplice block-notes l’artista si esercita sulla possibilità di catturare i misteri dell’iride e la complessità delle rifrazioni luminose: con rigore scientifico disegna un repertorio di enne possibili varianti di geometrie triangolari, a nastro o sferiche, di fatto la rappresentazione dell’“anatomia” della luce. È un esercizio capace di catturarne “l’invisibile” e liberare gli atomi finissimi dei timbri dell’arcobaleno: dal rosso all’arancio, al giallo, al verde, all’azzurro, all’indaco e violetto.

Le Compenetrazioni iridescenti sono piccoli capolavori, dipinti su carta, alcuni su tela, rarissimi per numero e qualità, e, indiscutibilmente, rappresentano una tale novità nella ricerca di Balla da meritargli il titolo di antesignano dell’astrattismo.

In mostra sono esposti oltre venti esemplari, provenienti da prestigiose collezioni private e museali, come la Galleria d’arte Moderna di Torino e il Mart di Trento e Rovereto. Alcune Compenetrazioni testimoniano il passaggio dai disegni del taccuino alle maggiori dimensioni: qui l’esercizio e la sperimentazione confluiscono in una composizione che vive ancor più di vita autonoma, a cui è data dignità di quadro anche grazie alle cornici, spesso disegnate dal pittore.

Tra le opere esposte, preziosissima la cartolina indirizzata da Balla all’amico e allievo Gino Galli nel novembre 1912, che attesta la prima notizia della nuova ricerca sulle Compenetrazioni: sul recto un tipo di iride a sequenza cromatica in cui il pattern decisivo è il triangolo, “figura geometrica che da alcuni secoli viene utilizzata per descrivere la scomposizione dei fasci luminosi, ma che in Balla attiva anche uno speciale simbolismo, non estraneo da argomentazioni ermetiche ed esoteriche” spiega Gabriella Belli e precisa, a proposito dell’approccio di Balla nelle Compenetrazioni: “pur in debito con l’osservazione della natura ogni suo esercizio non sarà mai fredda e calcolata applicazione di teorie scientifiche, ma piuttosto un affondo nella natura fino a coglierne i nessi più nascosti e misteriosi”.

Da questo straordinario nucleo di lavori trae stimolo e suggestione, a quasi cinquant’anni di distanza, il giovane Piero Dorazio, tra i primi a comprendere la novità degli studi di Balla. Le sue grandi tele, note con il titolo Trame e dipinte tra la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, fitte di materia-luce e costruite con linee incrociate irregolari, ombre e luci che occhieggiano tra i triangoli del pattern della trama, ribadiscono quanto la sua sperimentazione sia vicina a quella di Giacomo Balla.

È una tessitura, quella delle Trame, risultante da un fitto reticolo di linee-colore verticali, orizzontali e diagonali, tratti eseguiti con mano leggera, secondo un registro di colori primari e complementari nelle combinazioni dell’iride e tra loro in stretta in successione: creano nell’occhio la sensazione di una linea, di fatto inesistente perché frutto di una correzione ottica.

Il ciclo è ricco di molte varianti e cambiamenti, principalmente legati al grado di luminosità del colore, alle interferenze percettive tra fondo e superficie e, anche, alla relazione spazio-tempo. “Nell’improvviso “zampillare” di un abbaglio luminoso, che fuoriesce dagli interstizi che si formano all’incrocio delle linee, tra filamento e filamento, allo sconfinamento del triangolo che lì si forma, si registra nella tessitura di questi quadri un effetto straordinario, come di verità rivelata, che si fa strada attraverso la materia raffinatissima, stesa strato dopo strato” sottolinea Gabriella Belli.

Molto significativi, in questo senso, quei lavori in cui il reticolo si spezza, si interrompe, cambia di netto registro cromatico, come in Time Blind, o ancora in Tenera mano: qui la “smagliatura” della trama mostra la struttura interna del quadro evidenziando la tecnica d’esecuzione e diventa, come suggerisce Dorazio stesso, luogo di “una illuminazione imprevista della coscienza, un modo di visualizzare l’attimo fuggente”.

Tra i diversi punti di contatto tra Dorazio e Balla è curioso sottolineare che la sperimentazione, rispettivamente delle Trame e delle Compenetrazioni, occupa una parentesi temporale brevissima nel percorso di tutti e due gli artisti. Eppure, nella prospettiva di una continuità della linea dell’arte moderna italiana tra avanguardie storiche e pittura del Secondo dopoguerra, non c’è dubbio che la contiguità davvero speciale di queste esperienze rimane davvero un tassello di fondamentale importanza.

L’allestimento della mostra, progettato da Mario Botta, sottolinea le differenze e le affinità dei due linguaggi artistici attraverso un’idea nuova dello spazio espositivo, ridisegnato proprio per accogliere e valorizzare al massimo queste opere: i lavori di Balla saranno sospesi in nicchie bianche, in uno spazio vuoto che li renderà preziosissimi, quelli di Dorazio, di grandi dimensioni, saranno invece presentati su ampie superfici nere, che permetteranno una efficace fruizione e soprattutto un rimando percettivo e visivo continuo alle opere di Balla.

In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo ampiamente illustrato, edito da Mousse-Milano, con testi di Gabriella Belli, Francesco Tedeschi, autore del Catalogo Ragionato di Piero Dorazio, e Riccardo Passoni, direttore della GAM di Torino, dove sono conservati i fogli più importanti di Giacomo Balla. Completano il volume ricchissimi apparati critici a cura di Giulia Arganini e Valentina Sonzogni. Un’intervista a Mario Botta espliciterà i criteri espositivi della mostra.

Il titolo dell’esposizione “Dove la luce” nasce dalla suggestione di una poesia di Giuseppe Ungaretti, che si accompagna ai versi contenuti nel volume La luce. Poesie 1914-1961 illustrato da tredici litografie a colori di Piero Dorazio nel 1971. Com’è noto il Poeta fu amico di Dorazio, ma anche grande ammiratore di Balla, al quale, nel 1968, dedicò l’introduzione al volume di Virginia Dortch Dorazio Balla Futurista. An Album of His Life and Work, tributando proprio alle sue ricerche sulla luce tutto l’afflato della sua altissima prosa critica.

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