Da Albrecht Dürer a Andy Warhol. Capolavori dalla Graphische Sammlung ETH Zürich
L’ETH Zürich è un’istituzione molto nota e rinomata in Svizzera e all’estero, ciò nonostante, non tutti conoscono la sua Collezione di arte grafica: con la mostra “Da Albrecht Dürer a Andy Warhol. Capolavori dalla Graphische Sammlung ETH Zürich” il MASI offre al pubblico l’occasione di scoprire 300 capolavori da una delle più importanti collezioni svizzere di stampe e disegni.
Tecniche, motivi, stili e concezioni dell’arte nei secoli si susseguono in un percorso cronologico, in cui le opere di esponenti di spicco della storia dell’arte europea sono presentate accanto ai lavori di artiste e artisti viventi come John M Armleder, Olivier Mosset, Candida Höfer, Susan Hefuna, Shirana Shahbazi o Christiane Baumgartner. Da questo raro ed eccezionale confronto tra gli antichi maestri e le creazioni più contemporanee emergono connessioni inaspettate e sorprendenti: temi come il processo di creazione dell’opera d’arte, il rapporto tra copia e originale, la trasmissione di motivi e iconografie, ma anche la collaborazione tra professionalità diverse in campo artistico attraversano la storia della grafica fin dalla sua nascita e toccano aspetti oggi ancora attuali.
Oltre a mettere in luce l’ampio spettro delle tecniche grafiche la mostra presenta anche disegni, fotografie e multipli. Il progetto espositivo propone inoltre informazioni e curiosità sulle origini, le funzioni e l’importanza delle opere attraverso i secoli.
“La Graphische Sammlung ETH Zürich, fondata nel 1867 come Collezione universitaria a scopo di studio e insegnamento, è una delle istituzioni svizzere più importanti per le stampe e i disegni dal XV secolo ai giorni nostri. Ogni volta che la visito, rimango molto colpito dalla qualità e dall’attualità delle opere. Sono quindi molto felice del fatto che diversi capolavori di questa straordinaria Collezione possano essere presentati per la prima volta ad un vasto pubblico al MASI Lugano”- sottolinea Joël Mesot, Presidente ETH Zürich.
Il percorso espositivo si apre con una grande parete su cui, secondo lo “stile Pietroburgo”, sono appesi autoritratti o ritratti di artiste e artisti. In questa suggestiva panoramica, che abbraccia epoche diverse, chi visita la mostra si trova a tu per tu con secoli di storia dell’arte: dallo sguardo intenso dell’acquaforte di Rembrandt nell’autoritratto con la moglie Saskia, a quelli più celebrativi di Anton van Dyck o Maria Sibylla Merian; dalle fotografie autoritratto in bianco e nero di Urs Lüthi o di Fischli/ Weiss all’autoritratto sintetico, di poche linee, di Max von Moos o, ancora, alla semplice bocca di Meret Oppenheim nell’incisione di Markus Raetz, solo per citarne alcuni.
La mostra prosegue con la presentazione di opere storiche della Collezione dalla fine del XV secolo ai giorni nostri, secondo un ordinamento cronologico. In un momento in cui la fotografia non era ancora stata inventata, dal XVI secolo la cosiddetta “incisione di traduzione”, che riproduceva dipinti e opere d’arte, era un mezzo fondamentale per far conoscere i capolavori ad un ampio pubblico. Capolavori che, attraverso la stampa, venivano anche reinterpretati: in mostra, la Caricatura della copia del Laooconte di Niccolò Boldrini è un esempio di come una stampa veneziana del XVI secolo potesse adattare un motivo antico, trasformandolo in un’immagine nuova e irriverente: le figure antiche sono state infatti sostituite con delle scimmie.
La stampa veniva impiegata anche come strumento di rappresentazione scientifica e naturalistica, come testimonia in mostra la nota xilografia Rhinocerus di Albrecht Dürer. Nonostante l’artista non avesse mai visto l’esotico animale, ne fece una raffigurazione che a lungo venne considerata realistica e quindi ristampata in più edizioni.
Nasce dall’attenta osservazione degli insetti del Suriname in Sud America il volume Metamorphosis Insectorum Surinamensium pubblicato nel 1705 da Maria Sibylla Merian. Imprenditrice e insegnante, Merian era annoverata tra i maggiori studiosi di insetti del suo tempo e fu, tra l’altro, anche la prima artista a ritrarre i diversi stadi di sviluppo di un insetto, insieme alle piante che fungevano da suo nutrimento.
Grazie all’ampio respiro cronologico della mostra è possibile osservare la trasmissione delle tecniche incisorie nel tempo, ma anche i diversi metodi di lavoro delle artiste e degli artisti. In un grande maestro come Rembrandt questo aspetto è evidente nelle due versioni dell’incisione Ecce Homo, da cui emerge come l’artista ritoccasse e perfezionasse le sue opere di continuo. Questo era possibile anche grazie alla tecnica della puntasecca, che permetteva di incidere la lastra con uno strumento d’acciaio a forma di ago appuntito, manovrato liberamente proprio come fosse una matita. Nel tempo, la tecnica storica della puntasecca verrà spesso ripresa e rivisitata, per esempio da un’artista contemporanea come Miriam Cahn, che nella sua serie soldaten, frauen + tiere del 1995 interviene direttamente sulla lastra con guanti ricoperti di carta smerigliata, creando con i movimenti della mano visi, sguardi e fisionomie di grande forza espressiva.
La trasmissione di soggetti iconografici nel corso dei secoli ricorre in tantissimi esempi, e giunge fino alle epoche più recenti, come nelle drammatiche rappresentazioni della corrida del 1816 di Francisco de Goya, tema ripreso nelle svelte figure di Pablo Picasso nella sua acquatinta Salto con la Garrocha (Salto con la picca)dalla serie La tauromachia e, quindi, in maniera più plastica e stilizzata nella xilografia su tessuto di cotone di Bernhard Luginbühl. Anche la rappresentazione della figura e quindi del corpo è un tema che emerge, nel suo sviluppo, attraverso tutta la mostra, particolarmente condensato al volgere del XX secolo negli espressionisti, nelle stampe di Edvard Munch e Käthe Kollwitz, e nei disegni in filigrana di Egon Schiele e Ferdinand Hodler.
Portano invece nelle pieghe più intime della relazione uomo – donna le xilografie della serie Intimités di Félix Vallotton. Questo lavoro è un esempio interessante dell’evoluzione della diffusione delle stampe d’arte, che vede, alla fine dell’Ottocento, l’introduzione dell’edizione limitata, un modello commerciale di successo. Nel caso della serie di Vallotton, per esempio, dopo aver terminato il processo di stampa, tutte le matrici di legno utilizzate dall’artista furono tagliate in piccole parti e stampate su un foglio aggiuntivo per dare all’acquirente la certezza che non venissero realizzate ulteriori edizioni. Diversi esempi in mostra testimoniano l’evoluzione della stampa anche come grafica d’autore nel secondo Novecento, come la serie di dittici composti da immagine e testo realizzati nel 1999 dell’artista Louise Bourgeois. Attraverso la domanda What is the shape of this problem?, posta sul frontespizio, l’artista stimola il ragionamento di chi osserva mediante risposte e contro domande possibili, cercando di dare una forma visiva alle emozioni. Nelle suggestive risografie dal tocco vintage Camping The Two Shirana Shahbazi indaga invece il genere classico della fotografia di viaggio, tralasciando il carattere documentario per catturare momenti passeggeri di situazioni quotidiane.
Anche l’immagine della Campbell’s Soup di Andy Warhol nasceva da un’ispirazione tratta dalla vita quotidiana. Emblema della cultura pop e della pop art, la lattina bianca e rossa della zuppa in lattina più famosa della storia dell’arte è immortalata, in mostra, in una serigrafia dalla nota serie realizzata da Warhol nel 1968.
La mostra è a cura di Linda Schädler, Direttrice della Graphische Sammlung ETH Zürich.
In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo in tre edizioni separate edito da Scheidegger&Spiess ed Edizioni Casagrande con un saggio introduttivo di Linda Schädler, schede di approfondimento su una selezione di opere di Linda Schädler e Patrizia Keller e testi di John M Armleder, Stephanie Buck, Andreas Fichtner, Pia Fries, Candida Höfer, Jane Munro, Nadine M. Orenstein, Philip Ursprung, Lenny Winkel, oltre ad un glossario delle tecniche grafiche di Saskia Goldschmid.