Elizabeth Jaeger. Contempt
Capsule Shanghai presenta “Contempt“, la prima mostra personale in Cina dell’artista newyorkese Elizabeth Jaeger. Liberamente ispirata all’omonimo romanzo di Alberto Moravia, “Contempt” riunisce il corpus più recente di opere di Jaeger, in particolare pezzi in ceramica e metallo realizzati appositamente per questa personale. La mostra si sviluppa nelle quattro sale della galleria ed esplora come il disprezzo permei vari aspetti dell’indole dell’individuo e della società, su scala microscopica e macroscopica.
Guardando all’ambito filosofico, una delle pietre miliari nell’evoluzione dell’idea di disprezzo è Le passioni dell’anima di Cartesio, in quanto è a partire da Cartesio che il disprezzo inizia a essere concepito come un concetto distinto e indipendente. Prima di Cartesio, altri filosofi raramente avevano incluso il disprezzo nelle tassonomie relative alle passioni, trattandolo come una sottospecie dell’indifferenza. Disprezzare qualcosa significava essere liberi da ogni passione nei suoi confronti. Il pensiero di Cartesio, tuttavia, non solamente porta a cambiamenti nella comprensione pragmatica e semantico-filosofica del disprezzo, ma ne esprime già la duplice natura, la sua potenziale utilità come strumento per ostacolare il vizio, e anche come impulso indisciplinato, capace di abusi e per questo da regolamentare e limitare.
Per questa occasione, Elizabeth Jaeger trasforma la galleria in un set vivente sospeso in una dimensione liminale. Sin da subito lo spettatore avverte un’insolita “presenza”: un suono metallico prolungato le cui origini saranno svelate alla fine del percorso e che, insieme alle scene distopiche che descrivono un mondo quasi privo di esseri umani, trasmette e amplifica il forte senso di alienazione. Lo spettatore si muove in un costante stato di ambivalenza semantica, tra opere ambigue dalla duplice funzione i cui soggetti sono trattati come attori ma anche come semplici oggetti di scena. Sebbene si avverta il senso del passare del tempo, “Contempt” avvolge lo spettatore in uno stato onirico in cui non è chiaro se si stia navigando nel passato, nel presente o nel futuro, immersi in un’opera d’arte totale in cui ogni elemento parla del nostro tempo da un punto di vista individuale e collettivo.
La mostra si apre con una scena post-umana: una stanza con fiori di ceramica, ordinatamente disposti su strutture che ricordano tombe. La delicatezza e la precarietà dei fiori è trasmessa attraverso il loro continuo oscillare al passaggio dei visitatori. Bellezza e decadenza condividono lo stesso spazio; ai fiori si contrappongono insetti e animali rappresentati in diversa scala, filo conduttore di questa mostra: vermi, ratti, uccelli ma, soprattutto, coleotteri. Più di 600 invadono la galleria, costituendo non solamente un elemento visivo pervasivo: l’energia che emanano, la loro operosità e i loro movimenti frenetici li rendono anche un elemento sonoro, un rumore permeante, una sorta di “sinestesia strisciante” che collega tra loro le sale della galleria.
Quando le stanze non sono del tutto prive della presenza umana, gli individui vengono raffigurati come “vagabondi” sull’orlo dell’abisso, come se fossero “sopravvissuti” il cui ruolo nel mondo non è diverso da quello degli insetti o degli altri animali ritratti. L’opera In my dreams I amfalling, in my life I amfallingasleep incarna questo aspetto: cadere può essere un riferimento al cadere a pezzi, alla caduta libera, alla caduta in disgrazia o a molte altre cadute degne di nota nella storia dell’umanità. La dimensione onirica, per Jaeger, è il regno dell’intensità, dell’esagerazione; mentre la vita reale spesso, con la sua banalità, è una versione più sbiadita. Varcare o meno i confini, vivere tra dimensioni e stati esistenziali diversi non è soltanto caratteristico delle poche figure umane presentate, ma anche degli altri animali in mostra: Rail si ispira a un gufo reale fuggito dalla voliera dello zoo di Central Park che, durante l’anno in cui è restato in libertà, era solito presentarsi sui davanzali, sbirciare attraverso le finestre, invertendo così la prospettiva tra dentro e fuori, città e gabbia, osservatore e osservato, attivando la dinamica di un confine costantemente varcato e mobile. Anche i cani raffigurati in Rail e Rail sono colti in limine. Se da un lato esprimono la tensione del sentirsi in trappola, la pulsione del voler agire, dall’altro sono troppo abituati a essere docili e domati, programmati dall’uomo per essere spettatori e compagni piuttosto che autori della propria vita.
Il senso di ansia raggiunge il suo culmine in Suddenfootsteps: lo sguardo spaventato del cane raffigurato lo rende foriero di cattivi presagi. Nella stessa stanza Contempt, una misteriosa macchina cinetica, svela la provenienza del suono di sottofondo che pervade la mostra sin dalla prima sala. Quest’ultimo spazio ospita anche BlamingGod, una donna a grandezza naturale il cui corpo riflette l’ambiente circostante. Nonostante i suoi occhi penetranti e intimidatori, la sua fisicità ritenuta e la sua postura esprimono vulnerabilità.
Se disprezzare è anche espressione di conoscenza e volontà, nei lavori di Jaeger questo gesto è reso muto; il disprezzo è una forza trainante abortita che, invece di essere catalizzatore di cambiamento e di rivolta, testimonia un processo di passiva accettazione, di impotenza e non di stoicismo. Il sentimento che prevale è quello di un’umanitàindebolita empaticamente dalla fede cieca nel progresso, nel primato della civiltà e che, pur consapevole delle proprie falle, non è in grado di correggerle, perpetrando la logica di un sistema che si perpetua incessantemente nonostante la sua insostenibilità.
Come i protagonisti di Jaeger, anche la società contemporanea sembra trovarsi a un bivio: l’istinto ad agire non equivale alla reale capacità di farlo. La consapevolezza di questo stato è motivo stesso di un’irrequietezza latente che non si placa, priva di una reale via di uscita; come in BlamingGod di Jaeger, ciò che a volte resta è una smorfia sul viso, un corpo tremante, strumento di procrastinazione e non di azione.