JOEL MEYEROWITZ. A Sense of Wonder. Fotografie 1962-2022
Brescia dedica a Joel Meyerowitz, uno dei protagonisti della scena fotografica contemporanea, un’ampia retrospettiva in grado di ripercorrere l’intera sua carriera, lungo sei decenni di attività, dagli anni Sessanta del secolo scorso ai nostri giorni.
La rassegna, dal titolo JOEL MEYEROWITZ. A Sense of Wonder. Fotografie 1962-2022, in programma al Museo di Santa Giulia a Brescia dal 25 marzo al 24 agosto 2025, curata da Denis Curti, è promossa da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Joel Meyerowitz Photography Archive di New York.
La mostra è parte della trilogia Americana. Un’antologia per immagini, a cura di Denis Curti, che, dopo Joel Meyerowitz, nel 2026, analizzerà la ricerca di Bruce Gilden, colonna portante dell’agenzia Magnum e, nel 2027, proseguirà con la serie di scatti realizzati negli Stati Uniti da Francesco Jodice.
La mostra è l’appuntamento più atteso della ottava edizione del Brescia Photo Festival, promosso da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con Cavallerizza – Centro della Fotografia Italiana, con la curatela artistica di Renato Corsini, che propone un ricco programma di esposizioni dedicate ai nomi più interessanti e celebrati della fotografia italiana e internazionale, attorno al tema degli Archivi.
La rassegna di Santa Giulia presenta oltre 90 immagini organizzate per capitoli tematici e propone molte delle fotografie che hanno contribuito a ridefinire il concetto di Street photography, all’interno del quale Joel Meyerowitz fa il suo ingresso introducendo l’uso del colore per interpretare e cogliere appieno la complessità del mondo moderno.
A cominciare dagli anni Sessanta, Meyerowitz emerge come uno tra i giovani fotografi d’avanguardia più interessanti di New York. La sua ricerca corre in parallelo con quella di altri grandi autori quali Robert Frank, Gerry Winogrand, Diane Arbus.
L’arte di Meyerowitz si distingue per la peculiare capacità d’immedesimazione e d’immersione totale in ciò che il suo occhio vede e il suo obiettivo traduce in immagine. La cifra più caratteristica della sua fotografia si può definire con il termine inglese intimacy, ovvero l’abilità di avvicinarsi il più possibile alla scena per cercare di catturare l’intimità del momento, per accogliere e riconoscere l’inaspettato.
“Non sono mai stato così felice – ha affermato lo stesso Meyerowitz – o così desideroso che il mondo si mostrasse a me. Ho trovato la mia natura, se si può davvero dire così. Non avevo paura di entrare in luoghi, gruppi o situazioni che prima non mi si sarebbero mai presentati”.
“Camminando lungo i marciapiedi della città – scrive Denis Curti nel testo pubblicato nel catalogo Skira -, Meyerowitz osserva i movimenti della folla dall’interno, il suo punto di vista è “l’esserci”, poiché tanti e imprevedibili sono gli avvenimenti che possono essere catturati da un solo frame per strutturare un rinnovato processo di significazione nella fotografia. In questo modo svela gli aspetti nascosti dei luoghi, delle persone, della vita stessa, illuminando gli angoli bui dei linguaggi sociali e culturali del nostro tempo”.
Meyerowitz si muove con l’obiettivo di far emergere la dignità intrinseca all’uomo, che si manifesta anche nelle situazioni più ordinarie, o che risplende nei volti dei personaggi in cui si va imbattendo. Così facendo, sceglie di intraprendere una strada nuova e anticonformista: nel 1962 inizia a scattare a colori, andando contro tutti i principi estetici e filosofici della fotografia dell’epoca, in cui la restituzione della scena doveva essere seria e dunque caratterizzata dall’utilizzo dominante del bianco e nero. A tal proposito, Meyerowitz ricorda che allora “ero giovane e inesperto e non mi rendevo conto che esisteva una questione fastidiosa riguardo al colore nel serio mondo della fotografia. A quei tempi, il colore era considerato troppo commerciale, troppo da dilettante o semplicemente troppo sgargiante”.
Le sue sequenze offrono all’osservatore ampio spazio per interagire con ciò che queste immagini raccontano, senza però mai perdere di vista la possibilità di abbandonarsi all’introspezione.
Esemplari a tal proposito sono le fotografie realizzate nel 1967 quando, rientrato negli Stati Uniti dopo un viaggio di un anno in Europa, trova il suo paese in preda a sentimenti contrastanti a causa delle notizie che provenivano dai teatri di guerra del Vietnam. Ma a differenza dei reporter presenti sui terreni di battaglia, Meyerowitz decide di restare in patria e rivolgere lo sguardo verso i luoghi e le persone che rimuovono inconsapevolmente le tracce delle operazioni belliche. Facendo sua la convinzione bressoniana secondo la quale le storie più interessanti emergono, per lo più, dall’ordinario, piuttosto che dallo straordinario, Meyerowitz riesce a offrire con i suoi scatti un punto di vista originale della società americana del tempo, contribuendo a riflettere sull’identità del paese in un momento di profonda crisi, usando l’immagine per interrogarsi sul rapporto tra individuo e società, tra guerra e pace.
Il percorso allestito al Museo di Santa Giulia non manca poi di proporre le fotografie degli anni Ottanta in cui Meyerowitz allontana progressivamente il suo sguardo dalla strada in favore della natura, come nel ciclo di scatti realizzati a Cape Cod, sulla costa atlantica del Massachusetts. Queste opere si distinguono per il respiro ampio e per la contemplazione meditativa dei luoghi, in cui l’uomo e la natura s’incontrano in una sintesi visiva capace di comunicare un senso di eternità. Un sogno utopico da cui ci si risveglia nel 2001, dopo l’attentato alle Torri gemelle di New York, uno scenario in cui Meyerowitz è stato l’unico fotografo autorizzato a documentare il distretto del World Trade Center, nei mesi successivi agli attacchi terroristici dell’11 settembre.
La serie di Ground Zero, che si caratterizza per una cromaticità più sobria e austera, per rendere omaggio alla tragedia e all’impegno di tutte le maestranze coinvolte nelle operazioni di scavo e soccorso, segna un ideale passaggio tra il Meyerowitz street photographer e quello documentarista, che mostra, con visibile trasporto, i tratti di una nazione ferita, ma comunque fermamente orgogliosa delle proprie radici e unita nel dolore.
Completa il percorso il focus dedicato ad alcuni dei 365 autoscatti, mai proposti in Italia, che Meyerowitz si fece, giorno per giorno, durante il lockdown del 2020.
Anche in queste opere più recenti, Joel Meyerowitz ricorda quanto la fotografia possa essere un mezzo di riflessione sul vissuto del singolo e della collettività, un dispositivo per riscoprire il presente in ogni suo aspetto.
La mostra è visitabile grazie al supporto della App di visita gratuita Easyguide, inclusa nel biglietto d’ingresso: una audioguida, con la voce del curatore Denis Curti, che aiuta i visitatori ad addentrarsi nella poetica di Joel Meyerowitz.
Accompagna la rassegna un articolato Public Program, ideato e curato dalla Fondazione Brescia Musei e una serie d’iniziative collaterali che approfondiscono la figura di Joel Meyerowitz e le tematiche toccate dal suo lavoro. Tra queste, si segnala, martedì 25 marzo 2025, alle ore 18.00, all’Auditorium del Museo di Santa Giulia, l’incontro-dialogo tra Joel Meyerowitz e Denis Curti, al termine del quale il fotografo americano firmerà le copie del catalogo e, sempre, martedì 25 marzo, alle ore 21.00, al Cinema Nuovo Eden, la proiezione. in prima visione, del documentario Two Strangers Trying Not to Kill Each Other, diretto da Manon Ouimet e Jacob Perlmutter, dedicato al rapporto tra Joel Meyerowitz e la moglie Maggie Barrett.
Il film è il primo appuntamento della rassegna cinematografica che Fondazione Brescia Musei ha organizzato al Cinema Nuovo Eden, l’arthouse gestita dall’Istituzione culturale bresciana e che si articola in quattro documentari che, attraverso il linguaggio della settima arte, esplorano mondi, sensibilità diverse e tematiche legate alla fotografia, all’identità e alla memoria.
JOEL MEYEROWITZ. A Sense of Wonder. Fotografie 1962-2022 è resa possibile grazie al supporto di Alleanza per la Cultura.
La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Skira.