Dal 26 maggio al 3 luglio Centrale Fies presenta KAS, mostra collettiva di natura performativa che costituisce il terzo episodio di “Trilogia anti-moderna”, ciclo di esposizioni che Centrale Fies dedica da alcuni anni alla relazione tra gli oggetti e le loro attivazioni, rivalorizzando forme di sapere censurate o soppresse dalla modernità sesso-coloniale occidentale.
La collettiva formata dai lavori di Mohamed Abdelkarim, Simon Asencio, Miriam Cahn, Giulia Damiani & Le Nemesiache, Alessandra Ferrini, Belinda Kazeem-Kamiński, Alfeno Liboni, Vanja Smiljanić, curata da Simone Frangi, Barbara Boninsegna e con la curatela esecutiva di Maria Chemello, attraverserà e modificherà gli spazi della Galleria Trasformatori della Centrale in un percorso espositivo che prenderà vita grazie alle performance degli e delle artiste durante le aperture di Centrale Fies e accompagnata da un ciclo di performance live in occasione di Live Works Summit 2022, in un formato speciale che mira a un dialogo ancora più intenso e diretto col pubblico.
Dopo la mostra collettiva “Storia Notturna” dedicata all’esplorazione di prassi di stregoneria performativa e la bi-personale di Josefa Ntjam e Joar Nango, impegnata nella decostruzione del concetto eurocentrico di genealogia e delle versioni orientalizzanti e depoliticizzate dell’idea di indigenità, KAS riflette sulla funzione di topoi mitologici e della fabbricazione collettiva immagini di “urbanità primigenie” nei processi fondativi delle “urbanità immaginate” come processi fondativi delle comunità, a partire da una leggenda territoriale che narra di un’antica città sepolta sotto Fies.
Il titolo prende infatti le mosse da KAS, un città premoderna che sarebbe esistita nel sito di Fies prima della grande frana che creò nella preistoria il biotopo delle Marocche e testimoniata dal ritrovamento di un laterizio – sulla cui “veridicità” e “autenticità” gli storici ancora dibattono – e tenuta viva da fabulazioni popolari e dalla produzione pittorica del farmacista locale Alfeno Liboni.
Kas diventerà il punto di partenza di artiste ed artisti per articolare una serie di questioni socio politiche che sottendono a tali immaginari, spesso considerati innocui, ma in realtà innervati da forme di lotta critica nei confronti di architetture oppressive: archeologia e orografia speculativa come fonte di legittimazione dei nazionalismi o la loro riappropriazione funzionale in funzione anti-nazionalistica; violenza simbolica e materiale dei processi di fondazione nonché della loro trasmissione e riproduzione attraverso archivi materiali e visuali o attraverso nozioni egemoniche di patrimonio e eredità culturale;
l’artificialità del tempo della storia e della sua tripartizione in passato, presente e futuro; l’affermatività della nozioni speculative di futurità e catastrofe; la riforma del concetto artificiale di “oggettività” e le possibilità della sua erosione.
Come le altre due mostre della triologia, KAS avrà una durata “statica” di due mesi e sarà attivata con un ciclo di performance di Simon Asencio, Giulia Damiani e Le Nemesiache, Vanja Smiljanić in occasione di Live Works Summit 2022.
Dall’1 al 3 Luglio sarà inoltre possibile assistere alle performance delle partecipanti di LIVE WORKS 2021: Sergi Casero, Gabbi Cattani, Selin Davasse, Joannie Baumgärtner, Ivan Cheng, Ada M. Patterson & Clementine Edwards, Silvia Rosi. Ad accompagnarla quattro special guest, Philippe Quesne, Omar Souleyman, Giulia Crispiani, Alok Vaid-Menon.
Dallo scorso anno, all’interno di LIVE WORKS free school of performance, Centrale Fies ha messo a punto una affirmative action con la collaborazione di Razzismo Brutta Storia e BHMF, che mira all’agevolazione dell’entrata nel mondo delle pratiche performative di artisti italiani che si riconoscono appartenere a gruppi sociali razzializzati, minorate etniche o con background migratorio.
La speciale fellowship titolata ad Agitu Ideo Gudeta è a cura di Barbara Boninsegna, Simone Frangi, Mackda Ghebremariam Tesfau’, Justin Randolph Thompson. Un modo per rendere più fruibile l’accesso alla formazione e al circuito dell’arte contemporanea a persone che per ragioni materiali e simboliche, ne sono strutturalmente escluse.

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