Giovedì 15 ottobre il Museo Poldi Pezzoli espone nuovamente al pubblico uno dei suoi maggiori capolavori, finalmente “recuperato”: la Madonna con il Bambino di Andrea Mantegna, restaurato dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze. Per questa importante operazione di tutela del nostro patrimonio è stato determinante il sostegno della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti Onlus.

La mostra-dossier “Mantegna ritrovato”, a cura della casa museo e dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, allestita nel Salone dell’Affresco, presenta l’opera, raccontandone le diverse fasi dell’intervento conservativo – realizzato da Lucia Bresci, sotto la direzione di Cecilia Frosinini dell’Opificio delle Pietre Dure, in collaborazione con Andrea Di Lorenzo, conservatore del Museo Poldi Pezzoli – e le vicende collezionistiche.

“Il restauro del capolavoro – dichiara Annalisa Zanni, direttore del Poldi Pezzoli – è stato un lungo lavoro di squadra, anche grazie al Club del Restauro del Museo, che ha visto restauratori, storici dell’arte, ma anche filosofi, dibattere a lungo sulle modalità di intervento da effettuare per restituire all’opera l’identità conferitale dal suo creatore, prima degli interventi di Giuseppe Molteni che l’avevano resa diversa ma sicuramente amata e riconoscibile a tutti, una vera e propria ‘icona pop’. Questo non sarebbe stato possibile senza la riconosciuta professionalità dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze e la sensibilità della Marchesa Giovanna Sacchetti, generosa e attenta mecenate”.

“La mia Fondazione si occupa da anni di riportare alla luce la bellezza del nostro patrimonio artistico, sostenendo prestigiose istituzioni come il Museo Poldi Pezzoli. – dice la Marchesa Giovanna Sacchetti, presidente della Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti Onlus – Quando mi è stato proposto il restauro della Madonna con il Bambino di Andrea Mantegna ho accettato con grande piacere anche in virtù del rapporto di stima e amicizia quarantennale con la dottoressa Annalisa Zanni. In questi mesi sono stata partecipe di tutte le evoluzioni del restauro fino alla scoperta che ha portato a questo “capolavoro ritrovato”. La bellezza del Mantegna è fuori discussione ma quella che vediamo oggi è come una nuova nascita, per un’opera che spero sia studiata con sempre maggior interesse dagli esperti e apprezzata dal pubblico del museo.”

Gli interventi effettuati da Giuseppe Molteni nel XIX secolo avevano modificato a tal punto l’aspetto del dipinto da renderlo difficilmente giudicabile. Non a caso, l’opera era stata attribuita dalla critica alle più varie fasi dell’attività di Mantegna: dal periodo giovanile trascorso a Padova, all’inizio del soggiorno mantovano del pittore avvenuto tra il 1462 e il 1470, fino alla sua tarda attività, nell’ultimo decennio del Quattrocento, opinione che è prevalsa negli ultimi anni. Il recupero della pittura originale di Mantegna consente ora di esprimere un giudizio più sicuro sull’opera, databile quindi agli inizi degli anni Novanta del Quattrocento.

Il dipinto vanta un’illustre provenienza: nell’Ottocento apparteneva allo storico dell’arte Giovanni Morelli, fra i più rilevanti conoscitori di opere d’arte antiche della sua epoca. Nel 1861 la tela fu alienata per 2.000 lire a Gian Giacomo Poldi Pezzoli; la vendita venne effettuata per pagare un debito di gioco di Morelli. Nell’inventario redatto nel 1879, alla morte di Gian Giacomo, il valore venale attribuito all’opera da Giuseppe Bertini, primo direttore del Museo Podi Pezzoli, era già lievitato a ben 15.000 lire.

Gian Giacomo Poldi Pezzoli nel 1863 fece restaurare il dipinto a Giuseppe Molteni, direttore della Pinacoteca di Brera nonché ritrattista e amico della famiglia Poldi Pezzoli. Molteni era noto nell’ambiente artistico per i suoi interventi di tipo “integrativo”, che pretendevano di migliorare l’aspetto estetico dei quadri antichi secondo il gusto accademico in vigore all’epoca.

Nella Madonna col Bambino, Molteni impreziosì la veste rossa della Vergine con marezzature dorate e ridipinse completamente il manto blu dal risvolto verde, i cui pigmenti originali si erano irrimediabilmente alterati. Prolungò inoltre arbitrariamente le braccia di Maria sui bordi laterali, dando l’impressione che i personaggi si stagliassero davanti a una finestra e alterando completamente, in tal modo, l’impostazione compositiva e prospettica data all’immagine dall’artista padovano.

L’Opificio delle Pietre Dure ha iniziato l’intervento conservativo nel marzo 2019 e ha dapprima svolto un’approfondita campagna diagnostica proseguita anche in accompagnamento all’intervento di restauro vero e proprio. L’approfondimento diagnostico è stato necessario anche per comprendere a fondo la tecnica esecutiva, lo stato conservativo del dipinto, per definire più accuratamente l’entità dell’intervento di Molteni e, infine, chiarire alcune piccole scoperte che si andavano rivelando.

In particolare, in corrispondenza del manto della Vergine, le indagini hanno rilevato una doppia versione pittorica: una stesura in Blu di Prussia, caratterizzata da un panneggio di gusto tipicamente ottocentesco, riconducibile quindi alla mano di Molteni; e, al di sotto di questa, una stesura ancora molto integra in Azzurrite, nella quale si è potuta riconoscere la versione pittorica originale. Anche il ricco motivo dorato che decorava la veste rossa era quasi interamente da attribuire a Molteni: le pennellate di oro in conchiglia possedevano un carattere eccessivamente pittorico e seguivano motivi di fantasia ricostruttiva.

Infine la vernice a mastice, con la quale il restauratore intendeva proteggere gli strati pittorici, aveva alterato profondamente l’opera rendendola esteticamente assimilabile ad un dipinto ad olio e celando le peculiarità della particolare tecnica esecutiva a tempera magra utilizzata da Mantegna. L’intervento di restauro si è quindi indirizzato al ristabilimento di un equilibrio formale, attraverso la graduale rimozione della vernice che alterava l’aspetto originale dell’opera, così come definito dalla tempera magra: originariamente il dipinto era infatti caratterizzato da un effetto opaco e quasi pulvirulento della superfice, a imitazione degli stendardi o della pittura murale.

“Con questo restauro – dichiara Marco Ciatti, Soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di restauro – l’Opificio delle Pietre Dure ha vinto una vera e propria sfida tecnica che può aprire la possibilità anche ad altri recuperi di capolavori alterati da vecchi restauri, e ha consentito la lettura dei corretti valori espressivi che Andrea Mantegna aveva inserito in questo piccolo, ma prezioso dipinto”.

L’allestimento, realizzato da Unifor, su progetto di Luca Rolla e Alberto Bertini, presenta due stanze: la prima, introduttiva, con i pannelli esplicativi; la seconda spoglia, con la sola opera di Mantegna. Una tenda cinge il tutto isolandolo dal resto del Museo e concentrando l’attenzione unicamente sul capolavoro.

Arricchisce l’esposizione un video che racconta le diverse fasi di lavorazione intraprese durante l’intervento di restauro, oltre a una brochure di approfondimento con testi di Roberto Bellucci, Lucia Bresci, Andrea Di Lorenzo e Cecilia Frosinini.

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