La luce come scintilla della creazione artistica: fu Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia a collocare la nascita della pittura nell’attimo in cui l’uomo circoscrisse, con una linea, l’ombra di un suo simile. E ancora la luce come simbolo del divino e del metafisico, del materno e della natura, spesso in contrapposizione al buio come forza oscura, male, non essere. Attorno alla funzione che la luce ha assunto nella storia dell’arte modificandone il linguaggio stesso è costruita la mostra “Fiat Lux. Luci nelle collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna”, in programma dal 29 settembre al 27 novembre prossimi al Piano nobile di Palazzo Fava, il Palazzo delle Esposizioni del circuito Genus Bononiae. Musei nella città di Bologna.
La mostra, a cura di Benedetta Basevi e Mirko Nottoli, si propone di indagare la dialettica tra luce e ombra sul piano artistico, evidenziando le molteplici declinazioni che i singoli artisti ne hanno fornito nelle loro opere: dall’uso dei fondi dorati nelle icone bizantine ai chiaroscuri caravaggeschi, dalla funzione cromatico-retinica nella pittura impressionista all’arte contemporanea dove la luce si fa opera. Sono 45 le opere in mostra tra dipinti, sculture e installazioni, dal XV secolo ai giorni nostri, provenienti dalle collezioni d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, che ancora una volta sanno esprimere la loro variegata ricchezza. Arricchiscono il percorso espositivo alcuni brani letterari e QR Code che rimandano a estratti di film, documentari e podcast radiofonici legati al tema di mostra per allargarne la possibilità di fruizione e costruire rimandi e suggestioni.
Si collega idealmente al tema della luce anche la mostra ospitata al secondo piano di Palazzo Fava: “Giambattista Piazzetta. L’ingegnoso contrasto dei lumi” a cura di Francesco Paolo Petronelli, in programma nelle medesime date. È l’omaggio ad uno dei pittori più originali ed enigmatici nel variegato panorama artistico veneziano del Settecento, che lasciò la sua città solo una volta e lo fece per venire a Bologna a conoscere da vicino l’arte dei Carracci e del Guercino. La sua pittura, che ai colori e alla luminosità di Paolo Veronese e Tiziano contrappone una cifra intimistica, fatta di forti contrasti chiaroscurali, è ripresa e interpretata dai più importanti incisori veneti del Settecento. La mostra intende riscoprire e celebrare il legame di Piazzetta con Bologna e con l’Accademia Clementina, dalla quale fu nominato Accademico d’Onore, e gli intensi e proficui rapporti culturali e artistici esistenti tra le due città nel secolo dei Lumi.
Le cinque sezioni di mostra, ospitate da altrettante sale del Piano nobile, sono identificate ciascuna da un colore che visivamente sintetizza le azioni della luce: “Luce Divina: l’oro”, “Luce vs buio: ombre”, “Luce: la totalità dei colori”, “Luce pura: bianco” e “Assenza di luce: nero”. Una sesta sala, la Sala Rubbianesca, è interamente occupata da Sognatrice Vanessa di Fabrizio Corneli, opera paradigmatica dell’intera mostra nel suo esplicitare il concetto di immagine come creazione derivante dal gioco tra luce e ombra. Nel percorso espositivo le opere scelte intendono restituire la duplice valenza di ciascun colore, o assenza di colore: così il bianco è legato alla nascita e alla morte, e l’ombra si riscatta in alcune opere dalla sua valenza negativa per diventare indistinto dal quale emerge la possibilità di nuova vita. 
L’utilizzo dell’oro, diffuso soprattutto in epoca bizantina, ha assunto fin dalle origini valore trascendentale, rimando alla divinità, come ben rappresentato nella Sala di Giasone dall’aureola del Cristo Redentore di Elisabetta Sirani e dal raggio che irrompe durante la Prova di canto nella basilica di San Petronio di Felice Vezzani, fino ad arrivare al suo fertile terreno di applicazione nell’arte contemporanea con le bottiglie di plastica di Nino Migliori nobilitate dalla copertura d’oro e trasformate in Orantes, o con il recupero, quasi filologico, del fondo dorato da parte di Piero Pizzi Cannella nel ciclo Cattedrale. Sono ombre o visioni ectoplasmatiche emergenti dalla tela le Tre persone di Gianni Dessì, come nasce nel gioco di luce e ombra il cinema rappresentato attraverso i fotogrammi di Gianluigi Toccafondo, tratti da un suo film di animazione e la sequenza di Composizioni di Sergio Romiti che nella disposizione rimanda alla pellicola, opere presenti nella Sala di Ludovico. La luce come totalità dei colori si traduce, nella Sala di Albani, in opere che si rifanno alla Pop Art, come #9 di Piero Copertini, e al mito futurista della luce elettrica come sinonimo di modernità con Il fulmine di Alessandro Bruschetti, fino alla luce che diventa essa stessa mezzo espressivo attraverso elementi metropolitani come il ferro e il neon in Suf! di Cuoghi Corsello. La Sala Cesi dedicata al bianco ospita, tra gli altri, lo Schermo Carta di Fabio Mauri, luogo di ogni proiezione e insieme spazio dell’incomunicabilità; nella sua accezione di purezza e vita si materializza nella scultura La madre di Adolf Wildt e nel Ritratto di Fanciulla di Lucio Fontana; è tradotto, attraverso l’alfabeto informale, nell’asetticità del linguaggio dell’era tecnologica nel Quadro oggetto della serie Mitico computer di Mario Nanni. Al nero è dedicata, infine, la Sala degli Allievi: dalla cecità del protagonista del quadro di Johann Carl Loth, Tobia guarisce il padre cieco, al fondo del Concetto Spaziale di Lucio Fontana all’Arlecchino nero di Augusto Murer, che ha perduto i colori ma non la sua aria beffarda e impertinente. In un mare scuro galleggiano le “pacifiche uova” di Luigi Mainolfi, in uno spazio di ambiguità nel quale non ci è dato sapere se esse stiano emergendo o affondando.
Aveva 44 anni Giambattista Piazzetta quando, nel 1727, fu nominato Accademico d’onore della Clementina di Bologna, suggellando così un rapporto di legame con la città che lo aveva ospitato “per non breve spazio”, come si legge nelle Memorie anteposte al volume Studj di pittura pubblicato a Venezia nel 1760, per osservare “con somma attenzione le maravigliose Opere dei famosi Carracci, e più ancora quelle del Guercino, di cui parve che volesse imitare il gusto, e la maniera …”. E d’altra parte la città è disseminata di tracce del Piazzetta: l’Archivio Storico dell’Accademia di Belle arti conserva la lettera di ringraziamenti da lui scritta per la nomina alla Clementina; nel Gabinetto Disegni e Stampe dell’Archiginnasio sono custoditi quattro magnifici disegni di “mezze figure” a lui attribuiti; in Pinacoteca è esposto un piccolo ma particolarissimo dipinto della Resurrezione. Sei sono le sezioni nelle quali si articola, al secondo piano di Palazzo Fava, la mostra, che intende illustrare i molteplici aspetti dell’arte di Piazzetta attraverso la traduzione grafica dei suoi lavori da parte degli incisori del Settecento, prevalentemente veneti. Nella prima sala spiccano le teste dal vero, su disegno di Piazzetta, di incisori veneti come Marco Pitteri e Giovanni Cattini, e tedeschi. Nella seconda sala, tra le altre opere esposte, due Studi di figure tra rovine classiche, controprove di disegni a sanguigna conservati presso The Morgan Library & Museum di New York, mentre nella terza sala le più importanti edizioni veneziane del Settecento illustrate da Piazzetta. Da segnalare una rarissima edizione della Gerusalemme liberata e l’autoritratto del pittore, unica incisione nota dell’artista. Interessanti anche le illustrazioni per l’Atlante novissimo, pubblicato da Giambattista Albrizzi tra il 1740 e il 1750, che mostrano un inedito aspetto della collaborazione tra l’editore e Piazzetta: tutte le carte geografiche presenti nel secondo volume sono vivacizzate da vignette disegnate appositamente dall’artista e incise da Giuliano Giampiccoli.
La quarta sala ospita numerose incisioni a soggetto religioso da disegni di Piazzetta, mentre la quinta ospita un video che illustra le tecniche della stampa antica, accanto alle incisioni di grandi maestri come Canaletto, Bernardo Bellotto, Salvator Rosa e Francisco Goya e alla Sibilla Samia del Guercino, dipinto ad olio dalla Collezione d’Arte e di Storia della Fondazione. Il percorso espositivo si conclude con una sezione dedicata all’Accademia Clementina, istituzione che stava nascendo proprio negli anni del soggiorno bolognese di Piazzetta: sarà visibile, tra gli altri documenti, la lettera di ringraziamento sopra citata, datata 25 ottobre 1727, che Piazzetta scrisse dopo la sua nomina ad Accademico.

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