Il MASI Lugano presenta la più grande mostra personale in Svizzera di Shahryar Nashat: “Streams of Spleen”. Per l’occasione, l’artista è intervenuto con un progetto site specific sullo spazio della sala ipogea del MASI stravolgendone completamente l’atmosfera. Le opere esposte sono messe in relazione con l’architettura modificata e danno vita a un ambiente multisensoriale coeso, un’unica grande installazione che il pubblico è invitato ad esplorare.

Nel lavoro di Shahryar Nashat il corpo umano, le sue percezioni e rappresentazioni svolgono un ruolo centrale. Attraverso video, sculture e installazioni, l’artista crea esperienze sinestetiche che evocano emozioni e stati d’animo difficili da esprimere razionalmente. Evitando interpretazioni definitive, Nashat esplora tematiche come il desiderio, la mortalità, l’istinto animale e l’arte stessa, sfere che sfuggono a una comprensione completa. Artista attento a come l’arte viene presentata e fruita nei contesti istituzionali, Nashat spesso interviene più o meno esplicitamente sullo spazio espositivo mettendo in luce i meccanismi, le contraddizioni e la retorica che spesso accompagnano la presentazione dell’arte.

È una sensazione di disagio e al contempo di fascinazione quella che si prova entrando nella sala sotterranea del MASI. L’intero pavimento è rivestito con delle piastrelle viniliche, e il tono delle luci è alterato. Al centro della sala una costruzione dal soffitto basso si impone nello spazio come un volume scultoreo, in cui il pubblico è obbligato ad entrare, mentre il suono di un lamento indecifrabile si diffonde e scandisce il ritmo del percorso.

Il cuore pulsante della mostra è il nuovo video Streams of Spleen. Integrato nell’architettura del volume al centro della sala, il video è trasmesso in loop su una grande parete di schermi luminosi. In quest’opera, che vede protagonisti i lupi, Shahryar Nashat esorta ad allontanarsi dalla prospettiva umano-centrica e ad assumere il punto di vista animale. Anche se gli animali trasmettono un senso di vigore e vitalità, rimane una sensazione di inquietudine, rafforzata dalla composizione musicale: una sinfonia di lamenti, un pianto animale che allo stesso tempo è umano.

Anche nelle sculture in fibra di vetro Boyfriend_14.JPEG, Boyfriend_15.JPEG e Boyfriend_16.JPEG l’artista pare fondere la carnalità a strutture geometriche intervenendo con imperfezioni che sembrano rivelare un tessuto muscolare o scheletrico. Queste mutilazioni trasmettono vulnerabilità, ma allo stesso tempo infondono la sensazione di trovarsi di fronte a un oggetto vivo a cui potersi relazionare. L’associazione al corpo si ritrova anche in due stampe a getto d’inchiostro, Brother_03.JPEG e Brother_07.JPEG, che rappresentano una cassa toracica, mentre il rivestimento in gelatina acrilica fa pensare a secrezioni organiche. “Il corpo -la carne- diventa oggetto, presentato secondo le forme tradizionali di esposizione e rappresenta la dimensione concreta -materiale- dell’essere, in un’epoca digitalizzata in cui sia il corpo che l’oggetto artistico sono spesso mediati da schermi” spiega Francesca Benini, curatrice della mostra.

Nonostante il suo approccio sperimentale, Nashat è un attento osservatore della storia dell’arte e talvolta include nel suo lavoro tecniche e materiali dalla tradizione secolare, come nel caso delle sculture in marmo Hustler_23.JPEG e Hustler_24.JPEG. Nell’immaginario collettivo, il marmo evoca infatti opere che vanno dall’antichità al periodo moderno e come nessun altro materiale è da sempre stato utilizzato per rappresentare il corpo umano. Considerando questa memoria, Hustler_23.JPEG e Hustler_24.JPEG il riferimento al corpo è rafforzato dalle venature e dai toni arancio-rosati del Rosa Portogallo.

Il catalogo che accompagna la mostra può essere considerato anch’esso un’operazione artistica: concepito da Shahryar Nashat in collaborazione con il graphic designer Sabo Day e lo scrittore Kristian Vistrup Madsen, si presenta a prima vista come un manuale d’istruzioni, ma si rivela un poetico percorso che riflette sull’esistenza umana e su ciò che significa essere un artista. Con la sottile ironia e l’irriverenza che lo caratterizzano, l’artista presenta 17 capitoli intesi come 17 possibilità, 17 modi per realizzare opere, per essere, per stare al mondo. Il libro si chiude con un testo critico di Francesca Benini e Gioia Dal Molin ed è co-prodotto da MASI Lugano, Istituto Svizzero, Roma e Lenz Press.

L’esposizione è realizzata in collaborazione con l’Istituto Svizzero di Roma.

Il corpo umano è al centro delle altre opere in mostra. Ad esempio, le nuove sculture della serie Bone In, a cui l’artista lavora già dal 2019, sembrano veri pezzi di carne di origine sconosciuta e richiamano i processi dell’industria alimentare.

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