Lavish Phantoms of the House of Dust è il titolo di un’installazione immersiva di Tai Shani. Di questo nuovo corpus di opere fanno parte sculture, dipinti, disegni e animazioni in cui storie gotiche si intrecciano a oggetti – feticcio e forme illusorie. Ne deriva un ambiente visivo carico di riverberi spettrali e tracce infestanti che si insinuano attraverso le striature del tempo e dei suoi echi.
La splendida serie di seni in vetro soffiato, ciascuno di un verde lattiginoso, illuminato dall’interno da una
lampadina incandescente è molto più di un semplice lampadario. Funge infatti da modello delle superfici, dei simboli e delle risonanze psicosociali che compongono i “Fastosi fantasmi della Casa della Polvere”. Il seno, morbido e sensuale per natura e donativo, fluttua in totale libertà dal corpo. Si moltiplica e la sua carnosità è sostituita e imitata dal materiale più fragile e friabile, così da spingere tutto l’insieme fino un punto di fantasmagorica delicatezza.
Ciò vuol dire che questo lampadario si muove timidamente verso due direzioni al contempo: da un lato quella carnale e sontuosa del seno; dall’altra la fantasia astratta del femminile come ornamento a rischio di infrangersi, letteralmente penzolante a mezz’aria.
“Fastosi fantasmi”, appunto. Questa mostra si colloca giusto al confine tra eccesso e atrofia, straripamento ed evanescenza. Sono questi lo stato d’animo, il tono, la trama affettiva dei lavori esposti. Tappeti decorati di fotografie spiritiche d’epoca vittoriana, teschi in lapidaria e bizzarra ripetizione che fanno capolino, assemblandosi tra loro, a partire da brandelli di simmetrie e forme psichedeliche, parte integrante dello slang visivo della mostra: alla stregua del già citato dispositivo luminoso, lo spettacolo procede con una serie di trasmogrificazioni e suggestivi effetti che sono al tempo stesso sconcertanti enigmi visivi. Prendiamo il gigantesco paio di guanti in pelle scamosciata: quali mani sono così grandi da poter indossare questo lussuoso accessorio? La Casa della Polvere: non una semplice casa polverosa, ma una sorta di palazzo signorile o dimora aristocratica il cui simbolo araldico e la cui eredità storica potrebbe esser fatta di detriti polverizzati, ammassi di inconsistente e persistente nulla. Vale a dire, il fastidioso rovescio dell’accumulo, il suo gemello malinconico e cattivo.
Il video in mostra presenta un dorso femminile dalla pelle traslucida, dal quale si intravedono muscoli, organi e scheletro, il volto della donna, con il corsetto quasi del tutto slacciato, si riflette nello specchietto che tiene in mano.
“Il mondo per me era un segreto”, pronuncia una voce, “il mondo per te era aperto, una parte del segreto e del me tutto entropico che perisce nell’istante in cui è rivelato”. Si potrebbe dire che l’elegante cosmologia che anima la mostra derivi dalla tensione agente in questa frase: tra “entropia” e “rivelazione”, offuscamento e soffiata, e al tempo stesso in bilico tra sgretolare e costruire, vacillare e affermare. Sono questi i poteri dei fantasmi. In un’epoca stravolta dalla rovina ipercapitalistica e dalla disgregazione della socialità (che è in fase
di insorgere e ricomporsi), tutti noi infestiamo la Casa della Polvere.

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